Troviamo doveroso esprimerci in merito agli episodi verificatesi nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. Non abbiamo fatto in tempo a trattare l’argomento nel numero in uscita, lo faremo senz’altro nel prossimo. Le terribili immagini diffusesi nei giorni scorsi ci riportano a riflettere non solo, ormai, sulla gravosa situazione in cui versano le strutture penitenziarie, bensì su quell’impervio “solco” che spesso viene valicato tra chi commette un certo tipo di reato e la divisa che indossa.
Nel prossimo numero avremmo voluto parlare e rievocare solo i fatti di Genova ma, purtroppo, certe situazioni si ripetono, e tornano tristemente attuali, in altre circostanze e con attori diversi. La sostanza, però, non cambia: i video delle violenze subìte dai detenuti, che hanno fatto già il giro del mondo, rimandano a un abuso, a una distorsione, a una terribile anomalia purtroppo non isolata, delle funzioni di chi dovrebbe tutelare la dignità e la salute dei cittadini, siano essi persone ristrette in regime carcerario, manifestanti facinorosi o comuni delinquenti di strada. Un messaggio deve passare nella sua chiarezza: la persona prima della divisa, altrimenti si smette di essere persone.
Detto questo fa riflettere la reazione di alcuni segmenti delle Forze di Polizia, non solo Penitenziaria, e delle loro rappresentanze sindacali. Ne è emersa una sorta di difesa d’ufficio, un alzare ostinatamente le palizzate in difesa degli operatori in divisa, che sembra mettere in secondo piano la sacrosanta condanna dei fatti avvenuti nel carcere campano. Noi di Polizia e Democrazia abbiamo sempre evidenziato le difficoltà operative del personale penitenziario, delle poche risorse messe a loro disposizione e del delicatissimo ruolo che svolgono in condizioni spesso proibitive. Tuttavia non possiamo che condannare lo scempio avvenuto più di un anno fa, in una situazione già difficilissima, ovvero i primi mesi del lock down.
Ci appelliamo, infine, non soltanto alla Magistratura affinché sia fatta chiarezza (e giustizia) in merito ai fatti del carcere “Francesco Uccella”, ma alla sensibilità e al buon senso di chi la divisa la onora tutti i giorni, svolgendo il suo mestiere con onestà e senso civico, nel rispetto dei più elementari diritti delle persone. Che sia quindi una buona occasione da cogliere, per riprendere la retta via e, casomai, ammettere i propri errori, senza nascondersi dietro un dito. Non si può restare indifferenti, questo sarebbe il primo passo, il primo “doveroso” segnale.
La Redazione