In ricordo di Rosa Scafa, dalla VGPF alla polizia della Riforma, la prima italiana al servizio della Stato

Resterà nella storia delle polizie italiane come la prima donna ad indossare una divisa. Rosa Scafa se ne è andata l’11 settembre di quest’anno, all’età di 98 anni, essendo nata il 18 luglio 1925 a Vibo Valentia, città lasciata a 22 anni per raggiungere la famiglia già emigrata a Trieste.

Era la prima di otto figli e nel 1951, vigente ancora l’amministrazione anglo-americana, si era arruolata nel Corpo di polizia femminile della Venezia Giulia Police Force (VGPF), nonostante avesse il diploma da maestra. Il corpo era stato costituito dal Governo militare alleato alla fine della Seconda guerra mondiale nella Zona A della Venezia Giulia e, dopo il 1947, nell’omonima zona del Territorio Libero di Trieste. Il suo comandante, dal 1945 al 1954, era stato il colonnello inglese Gerald Richardson, nella vita civile superintendent di Scotland Yard. Gli ufficiali superiori erano tutti inglesi e americani mentre quelli subalterni, i sottufficiali e le guardie, erano italiani.

Quando Rosa si arruola nella Polizia femminile, l’organico della VGPF conta circa cinquemila unità, ridotte sino a quattromila nel 1961, quasi 7 anni dopo la divisione, decisa il 26 ottobre 1954 tra l’Italia e la Jugoslavia, del Territorio libero di Trieste. Rosa frequenta il terzo corso della polizia femminile della VGPF, terminato il quale viene assegnata, con il grado di guardia, alla Squadra Buoncostume in un periodo in cui la presenza dei soldati anglo-americani richiamava in città prostitute da tutta Italia. Il suo compito principale era quello di assicurare i controlli medici delle prostitute che trattava con il massimo rispetto, rivolgendosi con il lei e chiamandole signora o signorina.

«Un giorno – aveva ricordato commossa in occasione del suo novantesimo compleanno – mi capita un servizio: dovevo assicurarmi che una di queste donne si sottoponesse alla visita medica. Nel furgoncino e per tutto il tragitto mi guardava di traverso ma io continuavo a trattarla con gentilezza. Quando siamo arrivate all’ospedale Maggiore la macchina si è fermata e da sotto …….

di Antonio Mazzei