A quarant’anni dalla sua approvazione, la legge di riforma della pubblica sicurezza continua ad essere vittima dell’ostruzionismo promosso da alcuni settori interni all’Istituzione e dell’incapacità della classe politica di occuparsi di una questione così centrale per la nostra democrazia
Come ogni anno, la festa della Polizia di Stato, si presenta come un evento ricco di artifizi retorici rispolverati per l’occasione dalle varie figure istituzionali che prendono parte alle celebrazioni. Una ricorrenza, svuotata del suo significato originario, finisce per rimanere ostaggio di trionfalismi fini a sé stessi, di una certa tendenza all’elogio e di un velo di ipocrisia.
Al fine di facilitare la comprensione dei lettori può essere utile riportare un breve stralcio del discorso pronunciato dal Ministro dell’Interno Luciana Lamorgese. Secondo Lamorgese, la legge 121 «ha costituito la forza propulsiva per una nuova idea di sicurezza, inscritta in una visione democratica e ispirata ai più alti valori della Costituzione repubblicana».
All’interno del discorso del capo della polizia, la legge 121 scompare dai riflettori e finisce per perdersi in un generico riferimento ai valori e principi guida che animano l’azione degli operatori di pubblica sicurezza. Gli interventi dei due alti funzionari ministeriali, dopo essere stati depurati dall’enfasi retorica e dai toni celebrativi tipici di quella sede, rappresentano in maniera netta ed inequivocabile l’assoluto stato di trascuratezza ed abbandono che colpisce il modello di polizia civile designato dalla legge 121.
L’assenza di chiari riferimenti alla legge di riforma potrebbe trarre ragione dalla convinta adesione ai valori della legge che sancì la definitiva smilitarizzazione della pubblica sicurezza. In questo caso, sicuri dell’assoluta fede e lealtà ai principi della riforma, gli alti vertici della pubblica sicurezza non hanno avvertito l’esigenza di soffermarsi su un passaggio cruciale della storia recente del nostro Paese. Allo stesso tempo, però, la mancata centralità riconosciuta alla riforma riesce a far emergere l’atteggiamento ambiguo e ondivago che ha caratterizzato la comunicazione istituzionale dei vertici che si sono succeduti negli ultimi quarant’anni alla guida dell’istituzione.
Difficile pensare che la Legge 121 sia stata completamente rimossa dal dibattito interno ad un corpo che nasce e trae i suoi principi fondativi proprio da tale legge. Il legame tra la legge e l’odierna amministrazione della pubblica sicurezza trova conferma nella scelta di istituire la festa della polizia il 10 aprile, data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della Legge 121/1981, la quale ha delineato i compiti e l’organizzazione della Polizia di Stato. Quello che si può notare, però, è l’incapacità di passare da un riconoscimento formale ad uno che riesca in maniera incisiva a farsi promotore dei valori e dei principi che hanno animato la lunga stagione di lotta per la smilitarizzazione della Pubblica Sicurezza. Inoltre, alcune voci non allineate hanno sottolineato come la stessa eredità e memoria di quella conquista di civiltà fosse minacciata da una vera e propria opera di manipolazione, più o meno consapevole, messa in atto dai vertici dell’istituzione. Il cammino verso la riforma veniva in questo modo depurato dei tratti che potevano mettere in cattiva luce l’immagine dell’istituzione ed il proprio operato.
Gabriele Ridolfi