Tra gli avvertimenti di Bruxelles e le “coperte corte”, la scommessa della maggioranza su una manovra in deficit che rischia di essere un fardello per le prossime gestioni economiche. L’esecutivo punta tutto sul rilancio delle imprese italiane, sperando di generare sufficiente ricchezza da appianare i conti

    Molti di noi, almeno chi ha passato la soglia dei quarant’anni, ricorderanno le aspre battaglie parlamentari che tra anni ’80 e ’90 del secolo passato hanno infiammato le aule, i media, le piazze e l’opinione pubblica in generale: si accendevano quasi invariabilmente dopo la fine dell’estate a ridosso dell’inizio dell’iter legislativo della legge allora nota come Finanziaria.

    Gli autunni più o meno caldi, le proteste studentesche, i mercanteggiamenti dentro e fuori le maggioranze parlamentari debuttavano proprio quando il governo si metteva al lavoro sul provvedimento che avrebbe regolato gli indirizzi economici per l’anno successivo. Il dibattito e la successiva approvazione della Finanziaria dovevano procedere a ritmo serrato per concludersi, lasciando il tempo sufficiente a varare subito dopo il bilancio dello Stato, che doveva per legge essere definitivamente pubblicato in Gazzetta Ufficiale entro l’ultimo giorno dell’anno.

    Quando le forze politiche avevano concordato il testo della Finanziaria, il Governo cercava in qualche modo di far quadrare i conti, inserendo i provvedimenti nel quadro del bilancio dello Stato, operazione talvolta tutt’altro che indolore; la partita insomma si spostava dall’aula all’esame degli organi tecnici deputati alla valutazione della fattibilità economica degli indirizzi approvati, pertanto la …

    di Nicolò Spaziante