L’appello allo sciopero lanciato lo scorso gennaio da diversi sindacati di polizia sottolinea la loro crescente importanza nella vita politica francese. Nell’estate del 2023 le rivolte e la loro gestione hanno dato origine a diversi movimenti di protesta. L’ascesa del sindacalismo corporativo di destra
Traduzione a cura di Salvatore Palidda
Sin dal periodo di Sarkozy – prima Ministro dell’Interno e poi Presidente della Repubblica – la maggioranza dei membri della polizia di stato francese si è collocata sempre più su posizioni ultraconservatrici di destra e anche sfacciatamente razziste; secondo alcuni sondaggi e studi, questa maggioranza vota l’estrema destra cioè il partito della sig.ra Le Pen. Da allora i sindacati di destra sono diventati maggioritari (mentre in passato il sindacalismo nella polizia francese è stato di sinistra, cioè con la CGT – la CGIL francese).
La deriva a destra si è accentuata a seguito della ripetizione delle rivolte dei giovani delle banlieues – periferie, non solo della regione parigina ma di tutte le grandi agglomerazioni urbane del Paese (in particolare nel 2005, nel 2015 e l’ultima nel 2023, a seguito dell’uccisione del giovane Nahel con un colpo di pistola in testa da parte di un poliziotto (il filmato della scena fece esplodere la rivolta poiché vi si vede e si sente il poliziotto che usa l’insulto razzista e dice «ti ficco un colpo in testa»).
Già prima della rivolta generalizzata in tutte le banlieues francesi, i sindacati di destra avevano cominciato a mobilitarsi con manifestazioni pubbliche, approfittando della totale condiscendenza del Ministro dell’Interno Darmanin, noto per le sue origini politiche di destra e l’intento di ripetere l’esempio di Sarkozy, passando da Ministro dell’Interno “coi muscoli” e nettamente ostile all”immigrazione e ai musulmani, per diventare Presidente della Repubblica alle prossime elezioni recuperando così i voti della sig.ra Le Pen.
Di seguito riportiamo un’intervista, pubblicata su The Conversation lo scorso 14 gennaio, a Marion Guenot, sociologa del Centro di ricerche sociologiche sul diritto e le istituzioni penali (CESDIP), che offre la sua analisi sul crescente coinvolgimento dei sindacati sulla scena politica e sull’importanza dell’appartenenza sindacale all’interno dell’organizzazione di polizia.
Come funzionano i sindacati e sono rappresentativi degli agenti di polizia?
Il fenomeno sindacale è particolarmente massiccio all’interno della polizia: tasso di partecipazione del 77% alle elezioni professionali del 2022. Questi sindacati sono categoriali e rappresentano separatamente il corpo dei “guardiani della pace” e dei funzionari, dirigenti e commissari. I più conosciuti sono i sindacati delle guardie e dei dirigenti: “Alleanza Nazionale della Polizia” e UNSA, che, grazie ad una lista comune, rappresentano ormai il 52,7% del corpo; Unità FO della Polizia SGP, da sola, rappresenta il 40,3%. Tre ragioni possono spiegare il successo del sindacalismo tra gli agenti di polizia. I membri della polizia di stato sono vincolati al dovere di riservatezza e lealtà nei confronti dell’istituzione. Tuttavia, i sindacati di polizia beneficiano di una riduzione di questi compiti: la parola dei delegati è più libera, i locali sindacali sono spazi di dibattito più sicuri rispetto alle sale relax, ai social network o ai pasti in famiglia in alcuni casi, ecc. Attraverso i discorsi dei delegati sono gli agenti di polizia sul posto a trovare un mezzo di espressione. Inoltre, il successo del sindacalismo di polizia si spiega con il fatto che le organizzazioni rappresentative offrono un sindacalismo “di servizio” in tutte le fasi della carriera: dall’alloggio dopo l’entrata in servizio, ai trasferimenti e agli avanzamenti, comprese le questioni disciplinari (cioè la stessa protezione che offrono i sindacati di polizia in Italia, ndr). In molti casi il delegato costituisce un canale di informazione più veloce rispetto ai canali istituzionali. Infine, laddove nel resto del mondo del lavoro abbiamo osservato una divisione tra sindacati impegnati nel lavoro istituzionale e sindacati che rappresentano maggiormente il movimento sociale, i sindacati rappresentativi della polizia traggono la loro legittimità sia dall’azione istituzionale che dalle proteste di piazza.
Nel loro comunicato stampa congiunto, Alliance e UNSA hanno definito “selvaggi” e “dannosi” i rivoltosi del luglio 2023, pochi giorni dopo gli scontri seguiti alla morte del giovane Nahel, ucciso dalla polizia durante un controllo. Come possiamo comprendere la posizione di questi sindacati?
Dobbiamo tenere presente che le forze di polizia sono state scosse dalla morte di Nahel. Più che un blocco, il corpo di polizia è attraversato da dibattiti, anche interni. Quando è stata annunciata la morte di Nahel Merzouk, nessuno dei sindacati rappresentativi che ho citato ha parlato pubblicamente. Solo il giorno successivo, di fronte alle reazioni presidenziali che denunciavano una sparatoria “imperdonabile” e “inspiegabile”, sono intervenuti per far valere la presunzione di innocenza, ma senza commentare né le circostanze della sparatoria, né il profilo di Nahel. D’altronde, fin dalle prime ore dell’annuncio della morte dell’adolescente, un sindacato non rappresentativo, la “Polizia francese”, si è congratulato con il poliziotto che ha sparato sul ragazzo definendolo “feccia” (etichetta usata a suo tempo da Sarkozy). Vicino al sindacato “Riconquista!”, i suoi portavoce hanno diffuso voci secondo cui la polizia sul posto potrebbe rifiutarsi di intervenire in segno di protesta. È in questo contesto e alla luce di queste voci che dobbiamo comprendere i comunicati congiunti dell’Alleanza-UNSA, di «attaccamento all’autorità e all’ordine», che possono essere descritti come una posizione “legittimista”. Con toni duri, questo comunicato stampa è infatti rivolto agli agenti di polizia sul posto, per dire loro che ora non è il momento né per proteste collettive né per interventi sindacali sulla base delle rivolte dei giovani delle periferie (quindi una posizione sindacale che ha fatto molto comodo al governo nel momento in cui la maggioranza dell’opinione pubblica era solidale con i giovane delle rivolte… la maggioranza dei media aveva denunciato il degrado dei quartieri popolari per assenza di interventi di aiuto e di politica urbanistiche e sociali). Allo stesso tempo, i sindacati hanno avvertito l’autorità politica che la moderazione nell’azione sindacale sarà accompagnata da una forte vigilanza una volta tornata la calma nel Paese. Di fronte alle forti emozioni suscitate dai termini utilizzati, hanno pubblicato un secondo comunicato stampa per affermare che difendono “i valori della Repubblica”. L’altro grande sindacato rappresentativo, Unité SGP Police FO (una sorta di CISL francese), ha preso posizione la settimana successiva su Le Monde per denunciare l’impatto degli anni di Sarkozy, della politica dei numeri (misura della produttività della polizia) e per chiedere di «ricostruire i rapporti polizia-popolazione». Queste posizioni sindacali, legittimiste o più critiche, fanno conoscere le diverse percezioni che la polizia ha degli eventi e allo stesso tempo le alimentano.
Successivamente abbiamo assistito al lancio di una raccolta fondi e ad una dimostrazione di sostegno al poliziotto di Nanterre (l’agente che ha ucciso Nahel, ndr) da parte dei sostenitori di Reconquête.
Come testimoniano l’annuncio dello scioglimento del sindacato “Polizia francese”, nonché la denuncia legale per “apologia di violenza” da parte del Ministro degli Interni, questo discorso è, a dir poco, insolito sul piano professionale. Subito dopo l’annuncio della morte di Nahel e le forti reazioni alle sue circostanze, sono stata contattata da agenti di polizia di tutte le parti, compresi quelli indagati, altri che mi conoscevano solo per lavoro e mi hanno contattata per la prima volta. Lo fanno tutti per raccontare il proprio vissuto in merito ai fatti: il video della sparatoria risveglia l’ansia causata dal fatto di portare con sé un’arma e doverla potenzialmente utilizzare, anche solo appoggiando la mano sulla custodia durante l’intervento. È in questo senso che si identificano con l’ufficiale di polizia accusato. Sebbene sia normale che i sindacati difendano un collega accusato di omicidio, queste organizzazioni sono anche il luogo di sostegno personalizzato per gli autori di sparatorie letali e non letali, qualunque siano le circostanze (aggressione, legittima difesa o meno, incidente, ecc.), sia proceduralmente che psicologicamente. Ho potuto osservare come, all’interno della collegialità sindacale e di polizia, avviene il sostegno emotivo. Concludo quindi empiricamente che, lungi dall’essere un atto innocuo o apprezzato, aprire il fuoco su una persona è, al contrario, carico di conseguenze psicologiche. Resta il fatto che, come chiunque altro, la polizia esprime un giudizio su quanto accaduto, con opinioni divergenti sulla sparatoria in quanto tale. Ma la morte di Nahel è comunque vista come drammatica.
Dopo il caso Hedi a Marsiglia, la polizia ha iniziato uno “sciopero”, sostenuto dai sindacati, per protestare collettivamente contro la detenzione di uno degli agenti di polizia di Marsiglia. Hanno ricevuto l’appoggio del direttore generale della polizia nazionale, poi del Ministro degli Interni. La politica è soggetta ai sindacati?
Come sottolinea lo storico Jean-Marc Berlière, le proteste della polizia non sono quelle della classe operaia, nel senso che i disordini della polizia minacciano l’ordine e l’autorità politica nelle sue fondamenta. C’è quindi una chiara tendenza, tra i governi che si sono succeduti, a “coccolare” i sindacati. E questo, soprattutto perché le forze di polizia, nell’ultimo periodo, sono state notevolmente messe a dura prova (attentati e stato di emergenza, “gilet gialli”, movimento di pensionamento nel 2019 e nel 2023, confinamenti, rivolte, Coppa del mondo di rugby…). Ma bisogna tenere presente che il potere politico non esita ad attuare riforme fortemente impopolari, ignorando le forti proteste; le vecchie battaglie sindacali, come quella sugli oneri burocratici della professione, non hanno ancora trovato sbocco. Infine, alcune rivendicazioni sindacali molto ricche (ad esempio, sulla condizione del poliziotto notturno) non trovano altra risposta che il semplice sblocco dei bonus. Pertanto, solo il tempo ci permetterà di dire se queste proteste saranno all’origine di una trasformazione radicale del ruolo dell’agente di polizia coinvolto nel procedimento penale, al di là della manifestazione di sostegno di principio in questo momento.