L’improvviso utilizzo di massa di un nuovo modello di lavoro: pregi e criticità dello smart working a distanza di un anno dalla sua diffusione
Con la moderna tendenza anglofona, diffusasi in epoca contemporanea in ogni settore della vita, la non completa aderenza tra messaggio veicolato e messaggio effettivo è un rischio da non ignorare. L’espressione smart working per esempio, usata massicciamente in Italia da più di un anno a questa parte, è comunemente intesa come “lavoro da casa”. In realtà il lavoro da casa gli inglesi lo indicano con l’espressione home working mentre il lavoro da remoto o a distanza, in inglese, viene definito remote working o teleworking.
Ma allora, di cosa si tratta quando si parla di smart working? Il termine è stato coniato in inglese solo nel 2014 per indicare «un nuovo modello di lavoro che usa le nuove tecnologie e lo sviluppo di quelle esistenti per migliorare sia le prestazioni che la soddisfazione che si ottiene dal lavoro».
Non solo webinar (seminari interattivi) e videocall (videochiamate) ma le più recenti tecnologie avanzate, tecnologie intelligenti, cloud computing (erogazione di servizi online), applicazioni internet che utilizzano, appunto, tecnologie avanzate di elaborazione dei dati, tra cui macchine per l’apprendimento, data mining (estrazione di dati), intelligenza artificiale, business intelligence (processi aziendali per raccogliere dati ed analizzare informazioni strategiche), data science (scienza dei dati), etc. Le parole-chiave dello smart working sono contenute nella parola smart: specific (caratteristico), measurable (quantificabile), achievable (raggiungibile), relevant (pertinente) e time-bound (con scadenza).
La vera accezione dell’espressione, dunque, ha poco a che vedere con il semplice “lavoro da casa” e prospetta un ampio paradigma in cui la maggior parte del lavoro può essere processato mediante le nuove tecnologie. Oggi lo smart working, a seguito dei decreti governativi, è aumentato notevolmente e comincia ad essere il tempo di analizzarne pregi e criticità.
Innanzitutto va precisato che il “lavoro agile”, come si è soliti tradurlo al posto del letterale “lavoro intelligente” (dove intelligente è appunto riferito alle tecnologie utilizzate), è previsto dalla legge sin dal 2017 (n. 81 del 22 maggio) ed è definito nell’art. 18 come «una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa».
Maria Rosaria Ferrante