Nati alla fine degli anni ’90 i poli didattici all’interno dei penitenziari cominciano a raccogliere visibilità e partecipazione; già superati i 1000 detenuti che hanno intrapreso una carriera universitaria
Andrea Borghini
L’immagine dominante del penitenziario, nei media e nella pubblicistica del nostro paese, rispecchia fortemente i mali storici di questa istituzione totale: sovraffollamento, vetustà delle strutture, suicidi, atti di autolesionismo, carenza di personale ecc.
Quello che vogliamo descrivere in queste poche pagine non intende negare la realtà più cruda del penitenziario, ma semplicemente illustrare un progetto culturale e formativo, progressivamente cresciuto nel corso del tempo, in grado, se sviluppato appieno, di affiancare le altre attività trattamentali previste nei penitenziari e contribuire a ridurre le dimensioni dis-culturanti e recidivanti conseguenti alla carcerazione. Ci riferiamo al progetto dei “poli universitari penitenziari”.
In molti penitenziari italiani sono state allestite, nel corso di questi anni, sezioni a regime attenuato dove detenuti, italiani e stranieri, in possesso del diploma di scuola superiore, possono svolgere un’attività di studio universitario, seguiti e coordinati da docenti universitari appositamente incaricati.
Normati, in Italia, da alcuni regolamenti, e costituzionalmente incoraggiati, i poli sono luoghi fisici, all’interno del carcere, attrezzati per svolgervi lezioni, seminari, esami, studio, in presenza di docenti e/o tutor. E ove è possibile, di solito, usufruire di sale computer, sale studio e una biblioteca.
Nato nel carcere di Torino nel 1998, a cui ha fatto seguito l’esperienza di Padova, il progetto polo si è progressivamente esteso a molti penitenziari italiani, contando sul supporto dei provveditorati regionali dell’amministrazione penitenziaria e di molte sedi universitarie. Oggi, infatti, il progetto ha raggiunto i 1000 studenti iscritti, che rappresentano quasi il 2% della popolazione detenuta, vede coinvolte più di 30 sedi universitarie e oltre 50 istituti penitenziari, si è costituito prima in Coordinamento nazionale, e, successivamente al riconoscimento del proprio prezioso lavoro da parte della CRUI – la Conferenza dei Rettori delle Università italiane –, in Conferenza permanente presso la CRUI stessa, con l’acronimo di CNUPP: Conferenza Nazionale dei Delegati dei Rettori per i Poli Universitari Penitenziari.
Come si può immaginare, le realtà coinvolte, sia sul versante dei penitenziari che su quello delle università, sono molto variegate, ma tra di esse spicca il Polo regionale toscano. Nato nel 2010, esso mette insieme le Università toscane, l’Amministrazione penitenziaria regionale, la Regione Toscana e il volontariato penitenziario, e costituisce l’unico sistema integrato a livello nazionale, nato con l’obiettivo di sostenere i detenuti, anche stranieri, e gli internati negli istituti penitenziari della regione, nonché i soggetti in esecuzione penale esterna, nel percorso di conseguimento di titoli di studio di livello universitario. La natura sistemica del polo regionale presenta una serie di vantaggi sia in termini di economia dei costi e delle informazioni, sia di legittimazione istituzionale, nel momento in cui esso si presenta come voce unica ai tavoli di interlocuzione con le istituzioni locali (Regione, Provveditorato regionale, Comuni). Esso inoltre affronta quotidianamente un compito gravoso perché opera su numerosi istituti – 11 penitenziari e una Rems – e copre 4 tipologie di circuiti – Media Sicurezza, Alta Sicurezza, Circuiti Protetti, Collaboratori.
I corsi di laurea più scelti, da parte dei detenuti, sono prevalentemente quelli afferenti ai settori politico-sociale, giuridico e umanistico-letterario, anche se spesso tale scelta è viziata dalle condizioni di restrizione a cui sono soggetti i futuri studenti.
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