Nonostante la sentenza della Corte costituzionale, il pieno riconoscimento delle libertà sindacali dei militari da parte del Parlamento e delle amministrazioni sembra ancora un miraggio
Sono passati più di tre anni da quando la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittima la disposizione del Codice dell’Ordinamento Militare sul divieto di costituzione di sindacati tra militari, ribadendo, al contempo, il divieto di sciopero e la necessità di un intervento del Parlamento che, con una legge, individuasse i limiti cui assoggettare la libertà sindacale appena riconosciuta.
A distanza di qualche mese dalla sentenza, questa Rivista invitava l’allora Ministra della Difesa, On. Trenta, ad avere coraggio (Polizia e Democrazia, novembre-dicembre 2018, ndr). «Ogni riforma – abbiamo scritto – anche la migliore, resta monca se non è accompagnata da un cambiamento culturale. Ma sta a una classe politica coraggiosa compiere il primo passo». Questo coraggio della classe politica ancora non si è visto e la tutela dei diritti dei militari è divisa tra la “vecchia” rappresentanza, ormai obsoleta e superata, e i nuovi sindacati militari, che però operano con armi spuntate, in un “limbo” normativo. In assenza di una legge, come spesso accade, è la giurisprudenza che sta indicando limiti e modalità.
Abbiamo fatto il punto della situazione con l’Avv. Egidio Lizza, che di recente ha assistito un appartenente all’Arma dei Carabinieri, ottenendo un’importante pronuncia dal Giudice del Lavoro di Potenza.
Avv. Lizza, a che punto è il percorso di effettivo riconoscimento delle libertà sindacali per i militari, sancito dalla sentenza della Corte costituzionale n. 120/2018?
Il cammino successivo alla ricordata pronuncia, non debbo segnalarlo io come irragionevolmente lento: sono i tre anni intercorsi da essa senza che sia stata promulgata la legge auspicata dalla Corte, a rendere evidente l’inadeguatezza del percorso parlamentare rispetto alle esigenze di celerità, implicitamente segnalate dal Giudice delle leggi.
Nelle more dell’intervento del legislatore, è stato fatto qualcosa?
Sono state emanate alcune circolari dal Ministro della difesa e dal Ministro dell’economia e delle finanze, contenenti le linee di indirizzo da osservare riguardo al riconoscimento giuridico dei sindacati per gli appartenenti alle forze armate e alle forze di polizia ad ordinamento militare. Esse sembrano caratterizzate tutt’altro che da un’apertura verso il rinnovamento segnato dalla pronuncia della Consulta: si marca ad esempio, da un lato, l’impossibilità di utilizzare i locali dell’Amministrazione per svolgere attività di proselitismo sindacale o per ospitare le strutture territoriali delle organizzazioni sindacali e, dall’altro lato, si circoscrive la possibilità di avviare un’interlocuzione sostanzialmente con il solo livello centrale delle Amministrazioni. Tali indicazioni appaiono comprimere l’interesse sindacale, sacrificandone in qualche misura il principio di libertà, e le si può solo marginalmente giustificare in relazione all’attuale vuoto normativo, caratterizzato dalla coesistenza del sistema della rappresentanza militare e del neonato associazionismo sindacale, ed in attesa che l’azione legislativa razionalizzi forme, soggetti e sedi di confronto con le istanze collettive dei lavoratori.
Michele Turazza