La vicenda del commissario che nel 1969 aveva previsto la strage di Piazza Fontana e che durante le indagini finì sotto processo per aver “perseguitato” gli attentatori fascisti
La storia del nostro Paese è una storia percorsa da ombre, verità nascoste, domande prive di risposte. Ripercorrerle significa tuttavia continuare a cercare quelle verità. La memoria ci riporta a quei fatidici anni ’60, anni di trame occulte, vari tentativi di colpi di Stato e di stragi: dal piano Solo del 1964, alla strage di Piazza Fontana del 1969, dagli attentati sui treni alla strage di Piazza della Loggia a Brescia del 1974, fino al massacro della stazione di Bologna del 1980, ecc. Vale la pena, però, di raccontare e sottolineare una vicenda oscura che poteva evitare, sin dal suo nascere, la cosiddetta “strategia della tensione”, con i suoi morti e con i suoi feriti. Dopo la morte della guardia di P.S. Annarumma nel settembre 1969, una bomba venne fatta esplodere il 12 dicembre di quell’anno all’interno della Banca della Agricoltura di Milano che provocò 17 morti e 84 feriti, unitamente ad altre bombe della stessa natura che furono poste a Roma in prossimità dell’Altare della Patria e presso la sede della BNL di Via Veneto, provocando fortunatamente pochi feriti, mentre un ordigno inesploso venne rinvenuto nella sede della banca Commerciale di Milano di piazza della Scala.
La bomba di Piazza Fontana inaugurava così una strategia atta a contrastare l’avanzare del Partito Comunista più grande d’Europa; vari esponenti di gruppi fascisti, che beneficiarono della copertura di servizi segreti deviati, effettuarono facili azioni delittuose atte a tale scopo.
In quel tempo venne trasferito alla questura di Padova il commissario di polizia Pasquale Juliano, incaricato dal questore Federico Manganella di dirigere la Squadra Mobile.
Orlando Botti