Dalle discutibili leggi di sicurezza nazionale di Hong Kong ai casi di Giulio Regeni e Zaky: l’esempio australiano e il “timido silenzio” del nostro Paese nelle relazioni internazionali
C’è una notizia di questi ultimi mesi che è passata in sordina, sotto traccia, o che comunque non ha avuto il giusto rilievo che meritava e nemmeno una minima eco su buona parte dei nostri quotidiani. Si tratta della reazione dell’Australia, spiegata dal suo primo Ministro Scott Morrison, alla pesante repressione in atto a Hong Kong.
È ormai da poco più di un anno che i cittadini della ex colonia britannica, soprattutto i più giovani, hanno intensificato le loro proteste contro l’ingerenza cinese. Una pressione, quella del dragone, che di fatto intende abolire il patto che garantiva una buona dose di autonomia a Hong Kong, un accordo che si riassume nel motto “Un paese, due sistemi”. Una formula ben studiata, che nel 1987 consentì il transito di Hong Kong dal protettorato britannico al dominio cinese, permettendole di mantenere un’economia di libero mercato con un sistema giuridico rispettato e riconosciuto a livello internazionale e concedendo alla Cina l’ultima parola in materia di affari esteri e difesa. Ma tale sistema nel tempo si è rivelato fragile, perché garantisce libertà praticamente impossibili nella Cina continentale.
Pierstefano Durantini