Cinque anni nell’VIII° braccio di Regina Coeli e tre anni al G 9 precauzionale di Rebibbia: l’importanza di concedere uno “Spazio di parola” ai detenuti condannati per violenza di genere. Senza pregiudizio
Non avrei mai fatto un titolo così se non mi fosse stato suggerito da un detenuto incontrato nel precauzionale di Rebibbia. Ho riflettuto prima di usarlo poiché non è nel mio stile questa terminologia ma il termine “sensazionalistico” cattura l’attenzione su un argomento, quello degli autori di violenza di genere, che tutte/i evitiamo di trattare o si preferisce nascondere perché difficile da maneggiare. A maggior ragione in questo ultimo periodo, dove in dieci giorni sono state uccise sette donne, dove le ipotesi e le tesi sui fattori che portano ad un passaggio all’atto, come l’omicidio, riconosciuto ormai come un reato di genere, sono le più svariate e creative, soprattutto quando a parlarne sono gli “esperti”.
Sembrerà strano ai più sapere che il nostro progetto nasce, idealmente, nel 2010 all’interno di un centro antiviolenza. Sono stati i bambini a metterci in crisi e a farci interrogare. Una riflessione che ci fa dire che ogni donna che subisce violenza, attraverso un lungo iter giudiziario e un complesso lavoro da fare su di sé, può affrancarsi dall’uomo che le ha agito violenza. Per un bambino invece quell’uomo sarà sempre suo padre, sarà suo figlio per tutta la vita.
Ma che padre restituiamo a questo figlio in un sistema giuridico che non posiziona il reo nella condizione di riflettere e interrogarsi sul danno arrecato? Quel bambino è stato danneggiato, fisicamente e psicologicamente così come la madre che la violenza l’ha subita. Da qui, ma non solo da questo, l’idea di operare in carcere con gli uomini autori di violenza.
Dare parola agli autori
La nostra pratica parte dal concetto di ribaltare l’idea di chi pensa il sapere e costruisce aprioristicamente progetti fuori dalle mura, come si fa abitualmente, senza aver mai ascoltato il soggetto destinatario dell’azione. Con questo principio abbiamo formato l’equipe che avrebbe lavorato in carcere.
C’è stata una presentazione su entrambi i penitenziari, con i detenuti dell’VIII Braccio di Regina Coeli e del G 9 Precauzionale di Rebibbia. Abbiamo illustrato, alla presenza del Direttore, e motivato perché eravamo lì e il tipo di percorso che avremmo voluto fare insieme a loro.
Carla Centioni