In una realtà digitale sempre più fluida si fa sempre più alto il rischio del furto d’identità: cosa sapere e come prevenire i cybercrimini per difendere i propri dati personali sul web
L’ordinamento giuridico riconosce il diritto del singolo a mantenere il controllo sulla rappresentazione che ha di sé agli occhi della società. Tale diritto è definito anche dalla Corte Costituzionale e rientra tra i diritti fondamentali della persona umana. Essere sé stessi si intende come «rispetto dell’immagine di partecipe alla vita associata, con le acquisizioni di idee ed esperienze, con le convinzioni ideologiche, religiose, morali e sociali che differenziano, ed al tempo stesso qualificano, l’individuo». Da questi concetti si sviluppano le questioni giuridiche relative alla tutela dell’onore, del decoro, della reputazione, nonché del diritto all’immagine.
Le scienze sociali definiscono l’identità personale come una rappresentazione di un individuo o in relazione al contesto sociale in cui si sviluppa la sua personalità. Tale identità è configurata come bene-valore «costituito – riporta Mauro Dominici nel suo “Il furto dell’identità digitale e l’illecito utilizzo dei dati raccolti” – dalla proiezione sociale della personalità dell’individuo, cui si correla un interesse del soggetto ad essere rappresentato, nella vita di relazione, con la sua vera identità, e non vedere travisato il proprio patrimonio intellettuale, ideologico, etico, religioso, professionale».
Oggi non rischiamo più di perdere il trono, difficilmente potremmo diventare il “Prigioniero di Zelda”. Tra archivi, burocrazia, riconoscimento facciale e DNA è estremamente difficile impossessarsi dell’identità di un’altra persona. Ma il predominio del fantomatico regno di Zelda, romanzo dello scrittore britannico Anthony Hope, ora è digitale anche se non meno rischioso.
Il furto d’identità è un neologismo giuridico con una pecca: nessuno può «rubare» un’identità, ma «usarla» invece sì.
Cosa ci rende unici?
Nel 1994, il tecnologo Roger Clarke si occupò del tema della “persona digitale” e dei suoi effetti sulla privacy dei cittadini. Per Clarke «la persona digitale è un modello di personalità individuale pubblica basato su dati e mantenuto da transazioni, destinato ad essere utilizzato su delega dell’individuo». Ma dal 1994 ad oggi la società è stata fortemente mutata da Internet; il ricercatore Arnold Roosendaal, nel 2013, ha riformulato la definizione di persona digitale (o identità digitale). «Una persona digitale è la rappresentazione digitale di un individuo reale, che può essere connessa a questo individuo reale e comprende una quantità sufficiente di dati (rilevanti) per essere usata, in uno specifico ambito e ai fini del suo utilizzo, come delega dell’individuo».
Così come nella vita reale, anche nel mondo dei bit ogni azione consente al “sistema” di delineare un profilo sempre più dettagliato della persona. Anzi, grazie ai social network è estremamente più facile intuire i “gusti” degli utenti rispetto alla vita reale.
Per la giurisprudenza il profilo digitale oggi costituisce una proiezione dei diritti della persona nella comunità virtuale. Nel mondo digitale, infatti, il profilo dell’utente è costituito dall’insieme di elementi che lo caratterizzano nel mondo digitale. Per la sezione V della Cassazione, quindi, sono da punire: «tutte quelle condotte ingannatorie che si palesano attraverso l’utilizzo di nickname o falsi profili che celano persone diverse da quelle che dichiarano di essere per ottenere “vantaggi” di varia natura».
Lorenzo Baldarelli