Con l’appoggio di Azione e Italia Viva, la maggioranza vuole tornare a vietare la pubblicabilità delle ordinanze di custodia cautelare fino all'inizio del processo. Ma è una controriforma mal congegnata, che all'insegna di un falso garantismo non tutela gli indagati e peggiora la qualità dell'informazione
L’articolo 114 del codice di procedura penale vieta la pubblicazione, anche parziale o per riassunto, degli atti investigativi, compresi quelli non più coperti da segreto, finché non siano concluse le indagini preliminari, ovvero fino al termine dell’udienza preliminare. Una regola inserita nel codice entrato in vigore nel 1989 perché non si voleva che il futuro giudice potesse conoscere, prima del processo, ciò che, secondo lo spirito della riforma, avrebbe dovuto sapere solo nella fase dibattimentale e nel contraddittorio delle parti.
A questa regola, nel 2017, è stata applicata un’eccezione relativa all’ordinanza di custodia cautelare, ossia a quel provvedimento del giudice per le indagini preliminari in cui vengono illustrate le ragioni che lo hanno indotto a ordinare l’arresto di un indagato su richiesta del pubblico ministero. Infatti, nella prima fase del procedimento penale, anche se la persona indagata non è ancora tecnicamente sotto processo come vero e proprio imputato e non è stato accertato se abbia commesso o meno qualche reato, il giudice per le indagini preliminari può, su richiesta del pubblico ministero che sta indagando, limitarne la libertà qualora ricorrano le cosiddette esigenze cautelari, ossia quando vi sia pericolo di inquinamento delle prove, di fuga o di reiterazione del reato. È un atto che contiene il riepilogo delle ipotesi accusatorie al vaglio degli …….
di Francesco Moroni