La pellicola di Adam McKay, “Don’t look up”, ha scalato le classifiche nel periodo post natalizio e stimolato dibattitti molto interessanti in merito alla società in cui viviamo. Ma ci stiamo davvero ponendo le domande giuste?
No, per il momento non c’è nessuna cometa a minacciare il pianeta Terra. Possiamo dormire notti tranquille, è finzione. Non c’è alcun motivo di guardare con apprensione in alto, né di andare a visualizzare il sito della NASA (boom di visite nelle scorse settimane). Ma bisogna fare attenzione: il contesto “metaforico” che il regista Adam McKay ha rappresentato nel suo bellissimo film-denuncia non è del tutto finzione e, di conseguenza, dobbiamo farci i conti. Senza enfatizzare troppo, ovviamente, ma occorre rifletterci, prima che i ritmi forsennati delle mode e delle tendenze social ce lo facciano scordare. O prima che un Oscar “alle buone intenzioni” lo banalizzi, come è già capitato in passato ad altri capolavori del cinema.
Denunce
Che film è Don’t look up? L’etichetta “film-denuncia” potrebbe anche stargli stretta, relegandolo a un prodotto “eticamente corretto” ma pur sempre un prodotto di consumo, di massa, che con l’ausilio di effetti speciali e bravissimi attori rimane un film fruibilissimo a tutti, anche alle menti meno critiche. Definizione limitante per il semplice fatto che la pellicola non denuncia una sola problematica, bensì tanti aspetti, piuttosto sensibili, della società odierna: la quasi totale trascuratezza nei confronti delle politiche ambientali;
la sconcertante inadeguatezza della classe dirigente (sia essa quella statunitense o no); l’incontrollata devianza dei media, sempre più distorti e corrotti nel loro fare (non fare) comunicazione; la totale e scellerata fiducia nei confronti delle intelligenze artificiali; infine, una società culturalmente allo sbando, in preda alla finzione dei social network e al linguaggio degli algoritmi, non sempre capace di ragionare o, semplicemente, di guardare, in alto, in basso o dir si voglia.
Matteo Picconi