Polizia e Democrazia è un periodico fondato da Franco Fedeli nel 1995. Trae le sue origini da precedenti esperienze editoriali che erano originate dalla necessità di battersi, insieme ai tutori della legge, per una ristrutturazione, in chiave di efficienza, di tutte le Forze dell’Ordine.
Polizia e Democrazia segue con attenzione e con specifica competenza i grandi temi connessi alla sicurezza, alla giustizia, al carcere, all’ambiente, alla criminalità organizzata. La rivista è assolutamente indipendente, non è organo ufficiale di Corpi di Polizia e non è collegata in alcun modo con Ministeri o Enti Pubblici: essa è nata e vive solo grazie al contributo, tramite abbonamento, di molti cittadini e appartenenti alla Polizia di Stato, alla Guardia di Finanza, all’Arma dei Carabinieri, al Corpo di Polizia Penitenziaria, al Corpo Forestale dello Stato
Direttore Responsabile
Ugo Rodorigo
Curatore editoriale
Matteo Picconi
Coordinatori di Redazione
Lorenzo Baldarelli,
Michele Turazza,
Redazione
Vanessa Fieschi,
Adriano Manna,
Francesco Moroni,
Marco Scipolo,
Antonio Mazzei
Collaboratori
Fabrizio Battistelli,
Orlando Botti,
Pier Vittorio Buffa,
Silvia Buzzelli,
Gian Carlo Caselli,
Giancarla Codrignani,
Pierstefano Durantini,
Fabio Ferrari,
Francesco Gentile,
Tommaso Greco,
Cleto Iafrate,
Lorenzo Lorusso,
Fabrizio Maniago,
Nino Marazzita,
Paolo Miggiano,
Elia Minari,
Massimo Montebove,
Federico Olivo,
Salvatore Palidda,
Mario Bruno Piras,
Gabriele Ridolfi,
Felice Romano,
Riccardo Sacchi,
Vincenzo Scalia,
Nicolò Spaziante,
Luigi Testa,
Daniele Tissone,
Rosario Trefiletti,
Ugo Vandelli,
Vittorio Vannutelli.
La nostra terza avventura
LA STORIA EBBE INIZIO nella metà degli anni ’60, quando un intraprendente drappello di giornalisti della rivista «Ordine Pubblico», sostenuto da prestigiosi personaggi della cultura, del mondo giuridico, della politica e del sindacato, dettero il via alla grande battaglia per la riforma della Polizia.
Nessuno potrà dimenticare il contributo di idee ed il fattivo sostegno offerti in quel difficile momento da giuristi come Guido Neppi-Modona e Federico Mancini; magistrati come Mario Barone, Casadei-Monti, Alberto Bernardi, Gian Carlo Caselli; autorevoli rappresentanti del Corpo della Pubblica Sicurezza come il generale Enzo Felsani, il capitano Riccardo Ambrosini, il compianto vice questore Vincenzo Parisi (divenuto poi Capo della Polizia), il commissario Ravenna, il capitano Giacobelli, il maresciallo Fontana, l’appuntato Giordani e la guardia Fortunato Fedele e decine e decine di altri tutori della legge sparsi in ogni regione d’Italia; politici come
Galloni, Fracanzani, Bonea, Galluppi, Mammi, Aniasi, Flamigni; sindacalisti come Luciano Lama, Rinaldo Scheda, Macario, Storti, Marini, Vanni, Benvenuto: tutti uomini di diversa estrazione politica ma fortemente convinti che l’azione di polizia dovesse essere adeguata alle mutate condizioni storiche e sociali del nostro Paese.
Fu proprio dall’interno di quella redazione che nacque e si sviluppò il Movimento dei poliziotti democratici». I comandi con il centro e la periferia erano tenuti da quel piccolo nucleo di infaticabili cronisti che coordinavano partenze e arrivi di lettere, messaggi telefonici e informazioni recapitate spesso a mano. Ma proprio mentre si stava costruendo un castello con piccole pietre e ci si avviava a sgretolare quella barriera che aveva sempre contrapposto il poliziotto al cittadino, il fronte antiriforma non esitò a ricorrere a sistemi di inqualificabile autoritarismo. All’indomani di una storica intervista concessa nel dicembre 1976 dal Ministro dell’Interno Francesco Cossiga ad «Ordine Pubblico», (con cui si annunciava il diritto dei poliziotti di riunirsi e discutere la loro riforma), con la complicità interessata dell’editore, si provvide a decapitare in blocco la redazione della rivista.
Si riteneva così di aver spento il faro che illuminava la rotta del Movimento. Ma la ragnatela antiriformista non si era resa conto dei progressi compiuti in quegli anni dai tutori della legge e della forza che questi avevano conquistato.
Nell’arco di poco più di un mese, grazie al sostegno non solo morale, ma anche materiale costituito da migliaia di abbonamenti, quel piccolo nucleo di cronisti estromessi da «Ordine Pubblico», fu messo nelle condizioni di dar vita ad una nuova rivista che portò avanti, con altrettanto vigore, tante altre battaglie civili.
Nei diciotto anni di vita di «Nuova Polizia» sono stati affrontati ed approfonditi il problema penitenziario, avviata e conclusa la battaglia per la riforma del Corpo degli Agenti di custodia, aperto un dibattito serrato sul ruolo e la funzione della Guardia di Finanza, analizzate varie forme di criminalità e si stava avviando un articolato discorso sulla giustizia.
Ma ancora una volta, ci siamo trovati di fronte a circostanze imprevedibili che hanno finito col vanificare i nostri propositi. Alcuni recenti comportamenti aziendali, nei confronti dei quali nell’arco dei diciotto anni di vita della rivista non avevano mai interferito, non potevano non suscitare forti riserve.
Abbiamo avuto validi motivi di temere che il giornale rischiasse di avventurarsi su crinali pericolosi come quelli, per intenderci, che puntano sostanzialmente al profitto senza eccessive remore.
C’era il pericolo di imboccare la via di un progressivo depauperamento ideale, di un inevitabile appiattimento, con l’unica prospettiva di un triste epilogo. Non intendendo avallare un tale stato di cose non ci restava che dar vita ed una nuova esperienza editoriale.
E’ nata così Polizia e Democrazia che vede riuniti redattori e collaboratori di sempre, pronti a riprendere nuove e più impegnate battaglie civili.
Ha dunque inizio la terza parte della nostra storia. Qualcuno potrebbe sollevare il dubbio se tante battaglie e tanti sacrifici hanno ottenuto risultati concreti. Noi riteniamo che malgrado il bilancio non possa essere ancora ritenuto pienamente in attivo, non sia giusto abbandonarsi allo scetticismo.
Resta ancora molto lavoro. Argomenti non ne mancano: solo osservando l’attualità, assistiamo a preoccupanti contrasti fra le forze di polizia, ad attacchi concentrici contro la magistratura; a persistenti tentativi di interrompere la stagione della legalità; a girandole di perfidi dossier; ad accuse e veleni di tutti contro tutti. Uno stato di cose quantomai pericoloso.
Ecco quindi che molti problemi e molte idee ci spronaro, ancora una volta, ad impegnarci per un nuovo progetto di Stato e società.
Polizia e Democrazia
NON POSSO NEGARE che, fin dal sorgere dei primi contrasti sui metodi di gestione editoriale dell’ultima testata da me diretta fino allo scorso giugno, la mia prima tentazione è stata quella di tirare i remi in barca e, magari, dedicarmi a più gratificanti pause di riflessione o, addirittura, a distensivi relax da pensionato.
D’altra parte, a giustificare questo primo stato d’animo, c’erano gli oltre trent’anni di vita professionale trascorsi a remare – sempre – controcorrente. E poi (perché negarlo?) il panorama attuale del nostro Paese, fin troppo intricato e a volte ambiguo, appariva inadatto ad iniziative finalizzate alla riforma delle Istituzioni.
Tuttavia, da molte parti, mi sono giunti inviti, a volte pressanti, a non abbandonare la partita e a proseguire sulla strada fin qui percorsa. Come deludere tanti amici ed estimatori?
Ecco perché ho finito per tornare sulla mia decisione ed accettare di restare sulla breccia a dirigere questo nuovo mensile il cui titolo, in due sole parole, riassume tutto il significato dell’impegno messo – da me e da tutti i redattori e collaboratori in tanti anni di battaglie civili.
Franco Fedeli