Pubblichiamo l’appello lanciato al Governo e al Parlamento e sottoscritto dalle studiose/i e docenti di scienze sociali, sociologia del diritto e sociologia della devianza
Dicembre 2024, Papa Francesco apre la Porta Santa del Giubileo nel carcere romano di Rebibbia in segno di speranza, mentre la Conferenza episcopale italiana e autorevoli giuristi – tra cui l’Associazione italiana dei professori di diritto penale e del processo penale – invocano un provvedimento di clemenza, amnistia o indulto, che riconduca le carceri italiane almeno alla capienza prevista: sono segnali che denunciano la gravità della situazione. “Non respirano le persone detenute” afferma Antigone, ormai oltre 62.000 per 47.000 posti disponibili, con un tasso complessivo di sovraffollamento del 130%, che in alcune carceri supera o sfiora il 200%; mai numeri così alti dal 2013, anno della condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo per trattamenti inumani e degradanti.
31 dicembre 2024, il Capo dello Stato italiano, Sergio Mattarella, nel suo discorso di fine anno, ribadisce che le condizioni delle carceri italiane offendono la Costituzione, la quale indica norme imprescindibili sull’esecuzione della pena detentiva. Il sovraffollamento, certo, ma ancora di più e maggiormente pervasiva, “l’aria che si respira”, mefitica in senso letterale e metaforico: il riferimento inevitabile è all’infelice e deplorevole uscita del Sottosegretario di Stato per la Giustizia, di “non lasciare respirare chi sta dietro quel vetro oscurato”. Un’affermazione che attesta chiaramente una visione vendicativa e discreditante della pena.
Intanto nel 2024, 90 persone si sono tolte la vita all’interno degli Istituti italiani. Una ogni quattro giorni, un livello che non ha precedenti nelle carceri italiane; il tasso è più alto per le donne e per gli stranieri. Vanno aggiunti i 7 suicidi di agenti di polizia penitenziaria. Le risorse del trattamento sono davvero misere. Il lavoro, sempre definito dai vertici del DAP il “perno del trattamento”, coinvolge meno di un terzo delle persone detenute (al 31 dicembre 2023 il 28%; ma si tratta di lavoro di “casermaggio”, dequalificato e a turni brevi, mentre solo il 5% – 3.029 persone sui più di 62.000 presenti – sono alle dipendenze di cooperative o imprese esterne). Nel primo semestre del 2024 i corsi professionali registrano 3.716 iscritti, pari al 6% della popolazione detenuta; i percorsi di istruzione, dal canto loro, coinvolgono solo un terzo della popolazione detenuta.
Quanto al titolo di studio, per la metà della popolazione detenuta non è rilevato, né rilevabile. Della restante metà 18.085 persone (meno del 30% del totale) possiedono un diploma di scuola media inferiore. Ciò conferma lo stato di marginalità sociale della stragrande maggioranza dei reclusi, cui fa riscontro l’assoluta carenza di risorse trattamentali, quasi totalmente delegate ad enti esterni: enti di volontariato o cooperative, docenti o ministri di culto. Si tratta di una presenza caratterizzata da pesanti squilibri territoriali (concentrazione al centro-nord) e limitata dalla circuitazione penitenziaria di sicurezza, per cui in molte aree le attività trattamentali si riducono allo zero.
Eppure, i presupposti per far fronte a questa situazione, a partire dalla decongestione del sovraffollamento, ci sarebbero. Quasi un terzo della popolazione detenuta potrebbe giovare facilmente di un provvedimento di clemenza limitato ai reati minori e a residui pena non superiori ai due anni. Le persone anziane o malate dovrebbero poter accedere alla detenzione domiciliare. Ben la metà della popolazione detenuta, e addirittura più del 60% dei condannati definitivi, risulta scontare pene brevi o un attuale residuo pena inferiore ai quattro anni, potendo quindi fruire di misure alternative: quelle stesse che si sono da tempo dimostrate utili a ridurre drasticamente la recidiva, così anche in conformità alle istanze di sicurezza e di difesa sociale. Inoltre, è risaputo che la stragrande maggioranza dei detenuti per reati connessi al consumo e al piccolo spaccio di sostanze stupefacenti sono in realtà tossicodipendenti che andrebbero affidati a centri sociosanitari di recupero e reinserimento sociale. Lo stesso dicasi per gli affetti da disagio psichico.
Ma, dice il Ministro Nordio, l’indulto “sarebbe un segno di debolezza” e difficilmente l’attuale Governo lo percorrerà. La congiuntura reazionaria, oltre che una malintesa e trasversalmente condivisa accezione di “certezza della pena”, promettono solo il peggio. Di fronte a questa situazione e a tutte le buone ragioni per denunciare e protestare contro un regime illegale, il Governo, in senso contrario, introduce nuove fattispecie di reato e aggravi di pena, oltre ad emanare un provvedimento (DM 14 maggio 2024) che istituisce il Gruppo di intervento operativo del Corpo di Polizia penitenziaria (GIO), finalizzato al controllo delle proteste e dei conflitti interni. A ciò si aggiunge il recente progetto di “scudo penale” per le forze dell’ordine, orientato quantomeno a neutralizzare il reato di tortura.
In coerenza con queste prospettive fa la sua apparizione il Calendario 2025 della Polizia penitenziaria: una raccolta di immagini fuorvianti e pericolose che invocano la militarizzazione del Corpo di polizia, oggi a ordinamento civile, promuovendo un addestramento finalizzato all’utilizzo delle armi e delle tecniche di contenimento violento. A ciò si aggiunge il rifiuto della richiesta, da lungo tempo anche estesamente condivisa, di rendere identificabili gli agenti nel loro operato. Anche il Capo dello Stato ha fatto riferimento alle deplorevoli condizioni di lavoro in cui opera la polizia penitenziaria, dovute a sovraffollamento e carenze di organico, certo; ma forse anche all’essere chiamata alla gestione della quotidianità detentiva attraverso un’estenuante mediazione dei conflitti alla quale non è minimamente formata e che evidentemente non interessa a nessuno. Il video “pubblicitario” che presenta il calendario è gravemente fuorviante soprattutto per le nuove reclute, che così si vorrebbero motivate e selezionate come per andare alla guerra, per poi ritrovarsi a dover gestire sofferenza e miseria nelle sezioni sovraffollate, navigando a vista secondo un operare che, in caso di fallimento, si affida ai rapporti disciplinari.
Alla luce di questa complessiva situazione, in quanto studiosi e docenti di scienze sociali, di sociologia del diritto e della devianza, sollecitiamo adeguati provvedimenti per ricondurre il settore penitenziario ai principi costituzionali, invertendo le imperanti tendenze sicuritarie verso sostanziose politiche di sicurezza sociale. In particolare, chiediamo al Governo un intervento rivolto alla riduzione immediata del numero dei reclusi e al finanziamento di progetti di sostegno e integrazione sociale.
Primi firmatari:
Giuseppe Mosconi, Università di Padova; Francesca Vianello, Università di Padova; Salvatore Palidda, Università di Genova; Dario Melossi, Università di Bologna; Claudio Sarzotti, Università di Torino; Luigi Ferrajoli, Università di Roma Tre; Tamar Pitch, Università di Perugia; Amedeo Cottino, Università di Torino; Franco Prina, Università di Torino; Stefano Anastasia, Università Unitelma Sapienza; Alvise Sbraccia, Università di Bologna; Valeria Verdolini, Università di Milano Statale; Charlie Barnao, Università di Catanzaro; Pietro Saitta, Università di Messina; Stanislao Rinaldi, avvocato in Bologna; Giulia Fabini, Università di Bologna; Stefania Crocitti, Università di Bologna; Giovanni Torrente, Università di Torino; Daniela Ronco, Università di Torino; Cirus Rinaldi, Università di Palermo; Vincenzo Scalia, Università di Firenze; Elton Kalica, Università di Padova; Claudia Mantovan, Università di Padova.
Prime adesioni:
Andrea Borghini, Università di Pisa; Annalisa Frisina, Università di Padova; Devi Sacchetto, Università di Padova; Franca Garreffa, Università della Calabria; Rosalba Altopiedi, Università di Torino; Sabina Curti, Università degli studi di Perugia; Luigi Pannarale, Università di Bari; Andrea Bottalico, Università di Napoli Federico II; Enrico Gargiulo, Università di Torino; Fabio de Nardis, Università del Salento; Federico Oliveri, Università di Camerino; Mauro Palma, European Penological Center, Università Roma Tre; Michele Boato, Università di Venezia; Paolo De Nardis, Università Sapienza, Roma; Patrizio Gonnella, Università di Roma Tre; Luisa Stagi, Università di Genova, Dafist; Marcello Maneri, Università di Milano-Bicocca; Alessandro De Giorgi, San Jose State University (USA); Alessandro Maculan, Università degli studi di Padova; Alessandra Algostino, Università di Torino; Caterina Peroni, IRPPS CNR; Chiara Scivoletto, Università di Parma; Daniela Leonardi, Università di Torino; Elisabetta Grande, Università del Piemonte Orientale; Anna Simone, Università di Roma Tre; Carlotta Mozzana, Università di Milano-Bicocca; Francesco Miele, Università di Trieste; Fulvio D’Ascola, Accademia delle Belle Arti di Reggio Calabria; Gerardo Pastore, Università di Pisa; Giovanni Carrosio, Università di Trieste; Giovanni Frazzica, Università di Palermo; Sandro Busso, Università di Torino; Sebastiano Benasso, Università di Genova; Stefania Consigliere, Università di Genova; Valerio Pocar, Università di Milano-Bicocca; Vincenza Pellegrino Università di Parma; Vincenzo Carbone, Università di Roma Tre; Xenia Chiaramonte, Università di Firenze; Luca Sterchele, Università di Torino; Ludovica Cherubini, Università di Palermo; Marco Bruno, Sapienza Università di Roma; Marco Omizzolo, Sapienza Università di Roma; Susanna Vezzadini, Università di Bologna; Tiziana Terranova, Università di Napoli L’Orientale; Valeria Ferraris, Università di Torino; Riccardo Girolimetto, Università di Padova; Sandra Vatrella, Università di Napoli “Federico II”; Simone Santorso, University of Sussex (UK); Zelia Gallo, King’s College London; Altea Vaccaro, Université Lumière Lyon 2 (FR); Livio Ferrari, Movimento No prison; Carmelo Buscema, Università della Calabria; Carmen Leccardi, Università Milano-Bicocca; Consuelo Diodati, Università degli Studi di Teramo; Roberto Cipriani, Università Roma Tre; Vera Kopsaj, UniCamillus, Università Medica Internazionale di Roma.
(elenco aggiornato in data 20/02/2025 e pubblicato da L’Unità)