Cento anni sono passati dalla sua nascita e risulta alquanto pleonastico cercare di provare a sviscerare la figura di Federico Fellini, l’uomo che unanimemente è considerato come il più grande regista cinematografico che l’Italia abbia mai avuto. L‘onirismo e l’autobiografia, le luci e la fotografia, l’inquietudine e la fantasia scenografica che permeano le sue pellicole sono solamente le caratteristiche più evidenti che lo hanno reso celebre a livello nazionale e mondiale.
Dopo essere entrato nel mondo del cinema come soggettista e collaboratore alla sceneggiatura, il giovane Fellini cambiò improvvisamente direzione nell’immediato dopoguerra dopo aver conosciuto Roberto Rossellini, che gli permise di scrivere il suo primo soggetto cinematografico. Il Neorealismo del regista romano rimane la maggiore influenza per il suo futuro slancio creativo e i suoi primi film degli anni cinquanta non saranno altro che storie fortemente condizionate dai drammi di ‘Roma città aperta’ e ‘Paisà’, capolavori in cui egli stesso collaborò alla realizzazione nelle vesti di sceneggiatore. Dal 1952, nel giro di tre anni, gira infatti ‘Lo sceicco bianco’, ‘I vitelloni’ e ‘La strada’, quest’ultimo vincitore del Premio Oscar al miglior film straniero, prima delle quattro volte in cui fu premiato dalla Academy Award.
Il suo è un cinema di volti, di macchiette, di personaggi rimasti nella memoria collettiva: clown, prelati, volpine, gradische, aristocratici romani corrotti, meschini saltimbanchi e uomini in cerca di se stessi. Tutte figure di quel magnifico carosello che è stato il cinema e la vita di Federico Fellini, perfettamente riassunto nella giostra visionaria di ‘8 e 1/2’, uno dei più grandi capolavori del ventesimo secolo, con Marcello Mastroianni nei panni di un regista in crisi creativa, esplicito alter ego di Fellini. Un’opera personale fin dal titolo: era infatti l’ottavo film “e mezzo” firmato dal maestro riminese, contando come “mezzo” l’esordio diviso con Lattuada. Il girotondo finale, danza frenetica piena di vita sulle note dell’immancabile amico compositore Nino Rota, è la summa della poetica visiva e scenografica del regista.
Attraverso il sense of humour e la fantasia, il gioco e il sogno, Fellini ha raccontato, soprattutto nei suoi primi lavori, un mondo che prova affannosamente a non perdere l’ingenuità e la purezza, prima di trasformarsi sempre più, col passare degli anni, in una cupola vuota e superficiale, che scivola letteralmente verso il nulla sentimentale e sociale. In ‘Amarcord’, il suo film più nostalgico e dai forti toni favolistici, si parla di crescita e passaggio all’età adulta, in un mondo idealizzato che di fatto esiste solo nei ricordi; nella Rimini degli anni 30 si intrecciano storie slacciate e divertenti, che costringono lo spettatore a entrare nella memoria del regista, ormai nella fase più matura della sua vita.
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