Passiamo al plurale: “Sicurezze e Polizie”. Non è una scelta stilistica, né un mero vezzo di natura giornalistica. Con queste due categorie, a partire da questo numero, vogliamo ribadire un concetto che in realtà abbiamo sempre avuto chiaro: non esiste (o non deve esistere) una definizione univoca e strumentale di sicurezza, né da parte di chi la richiede, né da parte di chi deve garantirla. Esiste semmai un ampio ventaglio di “sicurezze”, che concerne tutti i diritti fondamentali dei cittadini, che si tratti del diritto alla salute o dei diritti dei lavoratori, finanché (ma appunto non solo) a questioni inerenti alla gestione dell’ordine pubblico.

Ma il passaggio “al plurale” vale soprattutto per il concetto di Polizia. Perché, dunque, “Polizie”? Innanzitutto perché da sempre volgiamo lo sguardo anche al di fuori dei nostri confini. I problemi (tanti) e le contraddizioni che attanagliano tutte le entità che svolgono funzioni di ordine pubblico sono gli stessi ovunque, pur tenendo sempre conto delle diversità sociali, politiche o economiche. Ma, ovviamente, non si tratta solo di questo. Scegliamo di adottare il concetto di Polizie anche perché in esse convivono ancora – e purtroppo – anime molto diverse tra loro. I fatti di Verona sono solo l’ultima ed ennesima conferma che all’interno delle nostre Forze dell’ordine serpeggia ancora (anzi, a volte sembra prevalere) quello “spirito maligno” che anni di lotte democratiche non sono riusciti a estirpare.

Parliamo di anime diverse tra loro anche perché siamo ancora fiduciosi – e speranzosi – che la maggior parte di coloro che indossano la divisa non si rispecchino in tali squallide condotte. Il problema, tuttavia, rimane e siamo molto lontano dall’affrontarlo con le giuste misure.

Come sono lontani gli anni Settanta, quando i poliziotti scrivevano alla redazione diretta da Franco Fedeli, quando le nascenti rappresentanze sindacali denunciavano i “malfunzionamenti” di una Polizia militarizzata, che calpestava i loro diritti e quelli di chi dovevano proteggere. Oggi risultano “non pervenuti”, soprattutto i sindacati, troppo impegnati a sottolineare i loro (legittimi) problemi “di parte”, o “di corpo”, ma mai disponibili a fare autocritica, a mettersi in discussione, in quanto tutori dell’ordine.

Fermo restando, dunque, questo “silenzio protettivo”, che indubbiamente mina alla credibilità democratica delle nostre Forze dell’ordine e, di conseguenza, del nostro Paese, non ci resta che continuare a rivolgerci all’esterno, a dare voce a chi studia il fenomeno, aspettando che qualcosa, prima o poi, si muova.

Il direttore
Ugo Rodorigo