Gli scontri di Zvecan hanno riacceso i riflettori nel cuore dei Balcani. Una crisi che rischia di destabilizzare non solo la regione kosovara ma anche i già precari equilibri nel contesto internazionale
Una nuova fiammata nei Balcani ha provocato forte preoccupazione nelle cancellerie di tutta Europa, dopo che in Kosovo 30 militari della Kfor, di cui 11 italiani, sono rimasti feriti a seguito degli scontri durante una manifestazione di protesta a Zvecan avvenuta a fine maggio.
Erano dieci anni che i militari NATO non venivano coinvolti in scontri armati, causati in questo caso da una violenta protesta divenuta in pochi giorni un vero e proprio assedio davanti al Municipio di Zvecan organizzato da abitanti di etnia serba, che rappresentano la netta maggioranza nella zona del Kosovo del Nord, contro l’elezione del sindaco Ilir Peci, di nazionalità albanese.
Forti tensioni e disordini si sono registrati anche nelle città Zubin Potok, Leposavic e Mitrovica Nord dove lo scorso 23 aprile si sono tenute le elezioni amministrative boicottate dai cittadini di etnia serba, che non hanno poi riconosciuto nessuno dei sindaci albanesi eletti in una consultazione elettorale a cui ha partecipato meno del 4% degli aventi diritto.
Le consultazioni avevano fatto seguito alle dimissioni dei sindaci delle quattro città, successivamente alla disputa delle targhe tra Serbia e Kosovo: quest’ultima non aveva voluto riconoscere le targhe di immatricolazione serba sul proprio territorio. Un provvedimento, quello sulle targhe serbe, che faceva seguito a numerose vessazioni amministrative per i documenti d’identità, espropri frettolosi e dispiegamento di unità speciali di polizia inviate da Pristina in aperta concorrenza con le unità locali.
Adriano Manna