A quasi due anni dalla fuga degli occidentali, in un Paese sull’orlo del collasso, dove le vittime di attentati e mine non diminuiscono, Emergency è baluardo di garanzia del diritto degli afgani a essere curati. Perché l’eguaglianza è anche questo: condividere gli stessi diritti ed essere parte di un destino comune

«Dulce bellum inexpertis»: è il noto il proverbio di Vegezio, scrittore romano della tarda antichità, secondo cui la guerra può piacere soltanto a chi non l’abbia mai provata. E Gino Strada, fondatore di Emergency, la guerra l’ha vista più volte in faccia, coi suoi effetti devastanti sui corpi e sull’anima di persone che, in vita loro, non avevano mai conosciuto un solo giorno di pace.
Il dottor Strada non è mai stato un “teorico”, non pontificava su guerra e pace da dietro una scrivania o su una cattedra, né si limitava a fare affermazioni di principio sui diritti e sulla salute. Era un medico che diritti e salute li praticava quotidianamente. Per una vita ha curato le ferite delle vittime di ordigni esplosi all’improvviso, di bambini rimasti orribilmente senza gambe o senza braccia per lo scoppio di una mina calpestata in un campo, magari mentre rincorrevano un pallone fatto di stracci. Ha curato tutti, senza se e senza ma. Gino Strada nelle conseguenze della guerra, nella carne viva dei corpi dilaniati dalle bombe, ci ha messo le mani. Letteralmente. Ecco il motivo della sua presa di posizione radicale contro la guerra, che può essere dulce solo per quelli che non l’hanno provata. Non per lui dunque.
La sua idea di sanità è stata tradotta in realtà con Emergency, l’organizzazione fondata nel 1994 che ha, fino ad oggi, curato oltre 12 milioni di persone in svariati Paesi e che, per prima, ha aperto un reparto di terapia intensiva in Afghanistan e un centro di cardiochirurgia in Sudan.
Per anni, mentre alcuni provavano a “esportare” la democrazia, con esiti fallimentari, Emergency ha esportato (concretamente) i principi più nobili della nostra Costituzione, che talvolta faticano ad essere attuati persino in Italia. (…)
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Per capire com’è la situazione in Afghanistan a quasi due anni dall’agosto 2021, Polizia e Democrazia ha raccolto la testimonianza di Stefano Sozza che, a Kabul, dirige e coordina i programmi di Emergency nel Paese.

Stefano Sozza ha conseguito la laurea in “Diritti dell’uomo e Etica della Cooperazione Internazionale” presso l’Università di Bergamo. Ha iniziato a lavorare come operatore umanitario nel 2014 e, dopo esperienze con diverse organizzazioni non governative in Palestina, Sudan, Iraq e Siria, ha cominciato la sua collaborazione con Emergency nell’aprile 2022 con il ruolo di direttore del programma dell’ONG in Afghanistan.

Dott. Sozza, quali sono le motivazioni che l’hanno spinta a collaborare con Emergency in Afghanistan?
Dopo dieci anni nel settore della cooperazione e varie esperienze in Paesi diversi, in situazioni molto complesse, come in Siria, Iraq, Sudan e Palestina, da circa un anno lavoro con Emergency. Essere il rappresentante di un’organizzazione come questa in Afghanistan, essere il portatore e la “voce” di questi ideali – ossia portare assistenza sanitaria gratuita e di alta qualità – che hanno spinto Emergency a rimanere sempre, nonostante tutto, in un contesto così difficile, non può essere altro che motivo di grande orgoglio per me.

Michele Turazza