Uffici inadeguati, privi di dotazione informatica, pochi assistenti sociali con centinaia di casi da seguire. Questa la situazione degli Uffici Interdistrettuali di Esecuzione Penale Esterna che dovrebbero seguire e supportare il reinserimento di un detenuto nella società civile

Spesso quando sentiamo parlare di esecuzione penale, la prima cosa a cui pensiamo è il carcere, con le sue sbarre e i suoi cancelli che fungono da contenimento; ma non è questo lo scopo rieducativo sancito dall’art. 37 co. 3 della Costituzione Italiana.

A livello internazionale con il termine “community sanction”, le recenti normative invitano ad intendere la sanzione penale come una misura da vivere nella comunità, secondo quanto indicato dal Ministero della Giustizia: «Il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa per mezzo della Raccomandazione (92)16, rifacendosi al termine anglosassone community sanction, fornisce la seguente definizione di misura/sanzione alternativa o di comunità: sanzioni e misure che mantengono il condannato nella comunità ed implicano una certa restrizione della sua libertà attraverso l’imposizione di condizioni e/o obblighi e che sono eseguite dagli organi previsti dalle norme in vigore. Tutte le amministrazioni occidentali, compresa quella italiana, incaricate di tale parte dell’esecuzione penale condividono tale definizione. Le misure alternative alla detenzione o di comunità, consistono nel seguire un determinato comportamento, definito possibilmente d’intesa fra il condannato e l’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna che lo abbia preso in carico. Gli Uffici interdistrettuali di esecuzione penale esterna sono organi periferici di livello dirigenziale non generale del Ministero disciplinati dall’articolo 10 del d.m. 17 novembre 2015 in attuazione al d.p.c.m. 84/2015 e sono dunque addetti alla presa in carico delle persone sottoposte a misure esterne alternative al carcere».

Ma cosa sono questi uffici e in che modo possono prendere in carico un detenuto in carcere e condurlo ad una misura alternativa esterna? Con la Legge n.154/2005 i CSSA (centri di servizio sociale per adulti) vennero denominati Ufficio di Esecuzione Penale Esterna (U.E.P.E.) ma la figura dell’assistente sociale al suo interno, ha continuato ad avere una grande centralità. Sono infatti loro, gli assistenti sociali dell’U.E.P.E. che, ricevuta la segnalazione da parte dell’educatore, dell’arrivo in carcere di un detenuto, si attivano per incontrare prima i familiari e poi il detenuto stesso; in modo da preparare una relazione socio/familiare del soggetto. Questa relazione, all’interno di un Gruppo di Osservazione e Trattamento (G.O.T.) contribuisce a definire un programma trattamentale che preveda l’affido in prova ai servizi sociali per il detenuto.

Vittorio Rizzo