Tra il “pressing” garantista della Corte Europea, le aperture della Corte Costituzionale e i paletti posti dal nostro Parlamento in ottica antimafia, una riforma compromissoria sulla concedibilità dei benefici premiali a chi non collabora con la giustizia
L’articolo 4-bis della legge sull’ordinamento penitenziario, che disciplina il cosiddetto “ergastolo ostativo”, ossia il “divieto di concessione dei benefici e accertamento della pericolosità sociale dei condannati per taluni delitti”, differenzia il trattamento dei condannati per reati di criminalità organizzata o altri gravi delitti da quello dei condannati “comuni”, subordinando l’accesso alle misure premiali e alternative a determinate condizioni. In particolare, tale disposizione stabilisce che l’assegnazione al lavoro esterno, i permessi premio, la liberazione condizionale e le misure alternative alla detenzione possono essere concessi ai detenuti e internati solo nei casi in cui essi abbiano collaborato con la giustizia.
Negli ultimi anni, la norma in questione è finita più volte sotto la lente critica della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e della Corte Costituzionale italiana. Sulla scia di una decisione della CEDU del 13 giugno 2019, che ha escluso l’applicabilità dell’ergastolo ostativo ai mafiosi rispetto a qualunque beneficio, con la sentenza n. 253/2019 la nostra Consulta ha statuito (limitatamente ai soli permessi premio) che la mancata collaborazione con la giustizia non può impedire la concessione di permessi premio ai detenuti condannati al massimo della pena, anche per fatti di mafia e terrorismo.
Francesco Moroni