Sovraesposizione digitale dei minori e (ir)responsabilità dei genitori. In un libro, i risultati di una ricerca multidimensionale sul fenomeno dello sharenting, che mina la tutela della privacy di bambini e bambine mediante la diffusione eccessiva e indiscriminata di loro immagini e foto sui social network da parte dei genitori
Sharenting: dietro questo termine inglese, apparentemente innocuo, si nasconde uno dei rischi più insidiosi dell’epoca dei social. Una pratica, quasi sempre esercitata in buona fede da parte di genitori desiderosi soltanto di condividere i successi dei loro figli, che si è diffusa di pari passo col diffondersi delle piattaforme digitali sui cui sono pubblicati, e appunto condivisi, dati personali di individui minorenni da parte di coloro che più di tutti dovrebbero avere a cuore la tutela della loro riservatezza.
Il neologismo statunitense deriva dalle parole inglesi to share (condividere) e parenting (fare i genitori), ma si è imposto con una sfumatura negativa in quanto, più che di semplice esposizione dei minori, si tratta di una sovraesposizione, nella maggior parte dei casi avvenuta senza il loro consenso, data l’età. Non solo fotografie, ma anche storie, racconti, video e addirittura ecografie, per aggiornare i propri contatti virtuali sullo stato della gravidanza.
Tali condivisioni, una volta rese pubbliche, escono dalla sfera di controllo dei loro autori, lasciando un’impronta digitale indelebile nel web, venendosi così a sfumare quel confine tra vita online e offline che dovrebbe rimanere invece ben definito, proprio a…….
di Michele Turazza