Il 5 gennaio 1984 il direttore del mensile “I Siciliani”, intellettuale poliedrico, veniva assassinato su ordine del boss Nitto Santapaola. Aveva una concezione etica del giornalismo. Denunciava l’esistenza della mafia a Catania e i suoi rapporti con imprenditoria, banche e politica. Affermava che «la verità bisogna andarla a cercare dovunque» e che «i mafiosi stanno in Parlamento»
Fu ucciso con cinque proiettili, a Catania. Erano le 22 di giovedì 5 gennaio 1984, vigilia dell’Epifania. Quella sera piovosa di quarant’anni fa Giuseppe Fava – 58 anni, principalmente valoroso e battagliero giornalista d’inchiesta, ma anche stimato romanziere, premiato drammaturgo e sceneggiatore cinematografico, talentuoso pittore e incisore – era uscito dalla sede del suo periodico e si stava recando ad una rappresentazione teatrale, la commedia “Pensaci, Giacomino!” di Pirandello, in cui la nipotina Francesca recitava una piccola parte.
L’agguato scattò prima che Fava riuscisse ad entrare nella sala. La mafia – la «piovra oscura», la «bestia immane», come lui la chiamava – lo assassinò proprio a pochi metri dal Teatro Stabile. Mentre in via dello Stadio (oggi via Giuseppe Fava), all’angolo con via De Cosmi, stava parcheggiando l’auto, una Renault 5, egli venne raggiunto alla testa da cinque colpi di pistola calibro 7,65 sparatigli da killer di Cosa nostra attraverso il vetro del finestrino, lato guida, da distanza ravvicinata. Quattro proiettili sotto l’orecchio sinistro e uno alla nuca, per assicurarsi la sua morte.
Così hanno zittito per sempre “Pippo” (com’era soprannominato dagli amici) Fava, il direttore del mensile “I Siciliani”, una voce libera, coraggiosa, onesta, scomoda, isolata, indipendente dal potere, nemica della mafia. Mandante dell’omicidio: il boss catanese Nitto Santapaola. Quel giorno l’Italia perse un intellettuale versatile, che fu freddato perché con i suoi articoli e saggi denunciava con ….
di Marco Scipolo